venerdì, gennaio 20, 2006

Invenzioni e cucina

Il "bain marie"
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Se non scopriamo qualcosa di piacevole, almeno scopriamo qualcosa di nuovo” aveva detto Voltaire, esprimendo il suo desiderio per ancora più scoperte nell’ambito delle scienze. Nel caso di Maria l’ebrea però le cose sono un po’ diverse, in quanto questa splendida signora, che visse ad Alessandria d’Egitto nel periodo ellenistico, ha scoperto molteplici cose, alcune delle quali ancora oggi non sono state superate da nuove scoperte e tutto questo grazie a coloro che anche se non scoprono qualcosa di nuovo, almeno scoprono qualcosa di piacevole: i professionisti della cucina.
Maria o Miriam è colei che ha dato il suo nome all’apparecchio “bain marie”, ossia il doppio bollitore, senza il quale sarebbe assolutamente impossibile la preparazione di piatti che conservano il sapore inalterato dell’ingrediente principale!
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Maria, non ha scoperto il doppio bollitore solo per preparare le sue creme senza che loro impazziscano, o per far sciogliere il cioccolato senza che si alteri la sua composizione, o per riscaldare i suoi cibi senza distruggerne il sapore, ma per facilitare il suo lavoro in laboratorio.
Della “madre dell’alchimia” ci parla Zosimo da Panapoli d’Egitto, alchimista, che scrisse in greco il manuale più antico di alchimia. Zosimo, visse cinquecento anni dopo Maria, quindi le informazioni sulla sua vita sono coperte dalla nebbia del mito che… si è addensata con il passare del tempo, in quanto più tardi si è conferita all’alchimia un carattere metafisico, che inizialmente, all’epoca di Maria l’ebrea, non aveva…
Per la sua vita quindi si possono fare solo delle ipotesi. Visse attorno al 300 a.C., e se fosse veramente ebrea non lo sappiamo, semplicemente Zosimo la definisce “sorella di Mosè”. Lavorò poco dopo Euclide e si suppone avesse conosciuto Archimede ad Alessandria. Non c’è nessuna prova che dimostri che Maria si fosse interessata dell’alchimia metafisica, al contrario, il fatto che fondò una scuola di alchimia per tramandare le sue conoscenze, per lo più sugli strumenti che inventò, ci fanno pensare che fosse una scienziata, pioniere della meccanica della chimica.
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L’apparecchio che utilizziamo oggi in cucina veniva chiamato nell’antichità κηρoτακίς(Kerotakis), in quanto il doppio bollitore conservava calda la cera che utilizzavano i pittori nella tecnica ad encausto (una tecnica pittorica eseguita su tavola o su muro, che si avvale della cera come componente del legante), di cui un esempio sublime sono i celebri ritratti del Fayum. Secondo un’altra interpretazione il doppio bollitore veniva chiamato κηρoτακίς in quanto era utilizzato per bagnare i metalli e definivano "κέρωμα" il bagno in quanto i vapori condensandosi avevano la consistenza della cera. Infatti, il "Kerotakis" consisteva in una sfera o in un cilindro con la calotta emisferica messa sul fuoco, nella cui parte bassa venivano riscaldate soluzioni di mercurio, di solfuro di arsenico e zolfo; alla sommità del cilindro erano posti i metalli da trattare; i vapori dello zolfo attaccavano il metallo liberando solfuro nero (il nero di Maria) che si pensava fosse il primo stadio della trasmutazione. Continuando a riscaldare si poteva ottenere una lega simile all'oro la cui composizione variava a seconda dei metalli posti sul piatto o del mercurio e dei composti dello zolfo usati. Inoltre, la parte superiore del bollitore in base ai principi di Ermete Trismegisto doveva essere sigillato, doveva cioè essere “ermeticamente chiuso”. Il Kerotakis fu anche usato per l'estrazione degli oli vegetali come ad esempio l'acqua di rose.
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L’introduzione del termine “bagnomaria” nella lingua italiana è, infatti, legato alla diffusione cinquecentesca dell’alchimia, a partire dalla vulgata del trattato di DiscorideDe Materia Medica (anno 1557) ad opera del veneziano Pier Andrea Mattioli.
Un’altra versione, meno colorata e fiabesca, sostiene che bagnomaria derivi dal termine francese “bain marie”, che pare abbia avuto origine dalla scoperta che l’acqua di mare portata ad ebollizione evaporasse meno dell’acqua dolce. Da qui il nome “balneum maris” cioè bain marie, tradotto malamente in italiano bagnomaria, invece di bagno di mare.
In cucina il metodo bagnomaria viene utilizzato per mantenere caldo il cibo senza continuare il processo della cottura, per sciogliere il cioccolato senza alterare la sua composizione e per fare delle creme che sono estremamente sensibili alla temperatura ed in forno serve a dare una cottura uniforme a soufflé e budini, come ad esempio il New York cheese cake ed il creme caramel.
Gli apparecchi di bagnomaria professionistici sono molto cari e destinati per lo più a ristoranti. A casa è molto semplice preparare la variazione dell’apparecchio utilizzando una casseruola nella quale verseremo dell’acqua ponendo sopra questa una ciotola di metallo. Facciamo attenzione a non ostacolare la fuoriuscita del vapore e a non permettere all’acqua di bollire. Nella tecnica di bagnomaria, infatti, l’acqua non deve bollire, è un principio basilare.
La ricetta che vi propongo necessita di riso jasmine (Khao Hom Mali, o Thai Jasmine rice) commercializzato internazionalmente con il marchio di Thai Hom Mali, recentemente diventato caso di biopirateria. Viene coltivato in Thailandia , ha chicchi allungati con un aroma discreto ed assomiglia abbastanza al basmati, ma quest’ultimo ha un’aroma fruttato e non lascia il retrogusto fiorito di quello jasmine.
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Budino di riso jasmine con salsa di caramello al limone


Ingredienti: 1 tazza di riso jasmine, 1 cucchiaio di scorza di limone grattugiata, 2 tazze di acqua, 2 tazze di latte, ¾ di tazza di zucchero, 2 uova intere e 2 tuorli, 1 tazza e mezzo di panna da cucina.

Ingredienti per la salsa: 1 tazza di zucchero, ¼ di tazza di acqua, ¼ di tazza di succo di limone tiepido.

Fate bollire a fuoco basso il riso con la scorza grattugiata di limone, l’acqua e metà della tazza di zucchero mescolando continuamente per circa 20 minuti finché il riso assorba tutta l’acqua. Aggiungiamo metà della tazza di latte, finché anche questo venga assorbito. Ripetiamo con il resto del latte e togliamo dal fuoco.
Mescoliamo le uova intere, i tuorli ed il quarto di tazza di zucchero avanzato. In una casseruola media facciamo bollire la panna a fuoco medio. Dopodiché lentamente e con attenzione aggiungiamo un po’ di panna calda nel recipiente con le uova e lo zucchero, per intiepidirlo un poco per non fare impazzire la crema quando lo trasporteremo nella casseruola con la panna calda. Mescoliamo nella casseruola media la panna, nelle quale abbiamo aggiunto la crema. Facciamo bollire per 2 o 3 minuti finché non si addensi.
Mescoliamo poi la crema con il riso molto bene e versiamo tutto in delle cocottine e deponiamole in una teglia, che avremo riempito di acqua calda. L’acqua nella teglia deve raggiungere la metà dell’altezza delle cocottine. Mettiamo in forno preriscaldato a 180° e facciamo cuocere per 45 minuti. Togliamo le cocottine dal bagnomaria, facciamole raffreddare e la mettiamole in frigorifero.

Per la preparazione della salsa, mescoliamo lo zucchero con l’acqua in una piccola casseruola e facciamo cuocere a fuoco basso per circa 10 minuti. Lo sciroppo lo mescoliamo solo all’inizio e poi lo lasciamo, perché c’è pericolo che cristallizzi. Togliamo dal fuoco e aggiungiamo il succo di limone tiepido. Mescoliamo molto bene. Rimettiamo la casseruola sul fuoco per pochi minuti, finché lo zucchero non si scioglie completamente e la togliamo dal fuoco e lasciamo raffreddare a temperatura ambiente.

Per servire togliamo il budino dalla cocottina, deponiamolo al centro del piatto e cospargiamolo con la salsa.

domenica, gennaio 15, 2006

Pandelis... e il Mantì

L’ingrediente principale degli ultimi post, la melagrana, mi ha fatto tornare in mente i sapori e le sensazioni lasciatemi da una giornata indimenticabile passata a Costantinopoli.

La languidezza dell’oriente e l’atmosfera che viene effusa dalle spezie del bazaar egizio sottostante, associate al luccichio delle famosissime mattonelle di Nicea (Iznic), che decorano l’interno… alle cupole con decorazioni bizantine… ai lampadari dalle mille gocce di cristallo… al panorama sul golfo del Corno d’Oro, con le centinaia di pescatori dilettanti protesi sui pontili… alla vista del ponte Galata… ti portano ineluttabilmente ad abbandonarti a tutto ciò che promette salute ed vigore dell’anima cioè… alla quintessenza del gusto e alla multiforme arte culinaria del ristorante Pandelis.

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La storia di questo ristorante ha inizio un secolo fa. All’inizio del 1900 il signor Pandelis, un greco di Costantinopoli, innamorato dell’arte e della qualità delle materie prime, decise di aprire il suo strettissimo ristorante nel vecchio mercato del pesce. Così sorge una personalità culinaria, sinonimo del gusto della cucina costantinopolitana. Dopo un cammino brillante nel corso dei decenni, tre ristoranti con fama internazionale, Pandelis si stabilisce definitivamente nel 1955 nella sua posizione attuale, sopra il mercato egizio delle spezie (Misir Carsisi), alla fine del ponte di Galata, all’ingresso del golfo del Corno d’Oro. L’edificio che ospita il ristorante fu costruito nel 1664 sui resti del mercato coperto bizantino, chiamato “Makra Emvolos”, ma acquisisce il nome odierno di mercato egizio delle spezie (Misir Carsisi) nel XVIII secolo, dopo che vi furono aperti dei negozi i cui prodotti venivano principalmente dall’Egitto.


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Gli orribili eventi del 6 e 7 Settembre del 1955 (durante i quali tutti i cittadini turchi di origine greca subirono saccheggi, furti e maltrattamenti) colpirono in modo grave ed irreparabile il signor Pandelis e il suo ristorante. Il suo dolore e la sua delusione per la perdita dei sacrifici di tutta una vita e per l’ingratitudine di tutti coloro che lui aveva servito, lo portarono a lasciare tutto e a tornare in Grecia. Il prefetto e l’allora sindaco di Costantinopoli decisero che un capitolo così importante della cucina della loro città non poteva chiudersi così. Gli offrirono quindi il primo piano, sopra l’ingresso, del bazaar egizio con una vista sia sul mercato che sul golfo, sul ponte e sul Bosforo. Da allora funziona come il principale punto di attrazione del turismo culinario della città e la sua fama si è diffusa nuovamente in tutto il mondo.




Da allora ha brindato innumerevoli volte con il suo bicchiere da raki con primi ministri, capi di stato, re, ministri, scrittori, poeti, attori, ma anche con comuni buongustai, commercianti della piazza, ma soprattutto con amici… “i miei amici e la soddisfazione che gli offro equivalgono per me a tutto il denaro del mondo” diceva. Non è mai diventato ricco e la sua vita iniziava e finiva con il suo lavoro. Era qui che Mustafa Kemal Atatürk si incontrava con i suoi amici e chiacchierava ore ed ore. Ed è sempre a Pandelis che Eleftherios Venizelos nel 1933, quando venne in Turchia per firmare l’accordo di pace, regalò la sua tabacchiera d’oro.

Capelli bianchi come il cotone, sopracciglia folte, mani d’artista… questo è Pandelis, che passa lui stesso dal servire alla cucina, ove come mago del medioevo aggiunge sapore, colore, profumo alle sue “composizione” e nel contempo litiga con i suoi aiutanti, da ordini ai suoi camerieri e scherza con i suoi clienti.


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Pandelis non è un cuoco, ma è un artista che unisce conoscenze, voglia, inventiva, audacia ed ispirazione nel mescolare gli ingredienti! Nessuno mai ha dubitato che da Pandelis avrebbe mangiato quanto di più squisito quel giorno si potesse trovare sul mercato di Costantinopoli e lui con cura unica avrebbe preparato… spigola al cartoccio, pollo di primavera, borek di melanzane, agnello al forno con puré di verdure, puré di melanzane con pezzetti di carne di vitello al sugo, ineguagliabili dolci e kourabiedes di mandorle con burro fresco… per un totale di ottanta piatti, che costituiscono il suo menù, che va sempre di pari passo con i prodotti di stagione. Fino al momento in cui la vecchiaia lo ha dominato, lui personalmente sceglieva ogni giorno, di prima mattina, i pesci più freschi, le carni migliori e la verdura più viva dai carri o dai camion, prima ancora che scaricassero. I suoi piatti sono stati definiti “sinfonie di gusti” e lui stesso “rettore dell’arte dell’accademia del gusto”. La sua cucina rappresenta una “scuola” di gastronomia ed un esempio tipico di cucina della tradizione ottomana di origine greca. I rappresentanti più famosi della odierna cucina turca definiscono Pandelis un maestro ed il più grande conoscitore di sapori della Turchia del XX secolo.

Dopo questa narrazione storica, parlerò del piatto di Pandelis che più mi aveva colpito e che avevo ordinato perché da tempo non mangiavo la pasta. Si chiama Mantì ed è una “versione” turca dei ravioli.
Mantì vuol dire “vestito corto” ed era un piatto molto amato dai greci di Costantinopoli. Facendo una ricerca su questo piatto, ho trovato un racconto colorato, frutto dei ricordi di un bambino per il suo piatto domenicale preferito… “stendevano la pasta, lasciandola abbastanza spessa, la tagliavano a quadrati di 4 0 5 cm di lato e mettevano un cucchiaio di carne macinata precedentemente preparata, in ognuno dei quadrati, chiudendo le due estremità e formando delle barchette, che ponevano sul sinì (teglia con il bordo basso) e mandavano al forno. Quando le barchette stavano per cuocersi le bagnavano con il brodo di ossa, che avevano preparato prima a casa, cosicché cuocendo lo assorbissero tutto. Portato a casa, si metteva il sinì al centro del tavolo ed ognuno prendeva con la mano una barchetta augurandole un buon viaggio nelle onde del suo intestino”.
Ci sono due versioni di mantì, una con yogurt e l’altra con succo di melagrana.

Mantì con succo di melagrana.


Ingredienti per la pasta: ½ kg di farina di grano duro, 1 uovo, 1 cucchiaio di olio, 1 cucchiaino di aceto, 1 cucchiaino di sale ed 1 tazza di acqua tiepida.

Ingredienti per il ripieno: ½ kg di carne macinata di manzo, 1 cipolla, 1 ciuffo di prezzemolo, 80 ml di cognac, 1 cucchiaio di olio, 1 cucchiaino di sale, una presa di pepe, una di cannella ed una di chiodi di garofano in polvere.

Ingredienti per il brodo: 3 bicchieri di acqua, carne con il suo osso (che potete sostituire con due dadi di brodo di carne a cui aggiungerete 1 cucchiaio di burro), sale e pepe.

Ingredienti per servire: succo di 4 melagrane.

Preparate la pasta, che poi cospargerete di farina e coprirete con uno strofinaccio umido e lascerete riposare per un’ora. Stendetela fino a quando non abbia lo spessore di mezzo centimetro, tagliatela in strisce di 10 cm di larghezza e poi ogni striscia in quadrati.
Preparate il ripieno, facendo soffriggere in una casseruola la cipolla tagliata finemente con la carne macinata ed aggiungendo il prezzemolo, il sale, il pepe, la cannella, i chiodi di garofano ed il cognac. Toglietelo da fuoco non appena avrà assorbito tutto il sugo.
Riempite i quadrati di pasta con un cucchiaio di ripieno e chiudete o come raviolo o come barchetta, unendo insieme le due estremità.
Fate bollire per tre minuti i ravioli o le barchette nel brodo di carne, che avrete preparato prima, e trasportateli delicatamente in una teglia imburrata e preriscaldata. Mettete in forno caldo a 180° per cinque minuti.
Nel frattempo versate il succo delle 4 melagrane in un tegame e lasciatelo cuocere finché non si riduca della metà, dopodichè versatelo in una ciotola e mettetelo in frigorifero
Il piatto va servito con questo concentrato, messo separatamente o cosparso sui “ravioli”.

Mantì con lo yogurt

La ricetta originale proviene da Cesarea ed è in questo modo che preparano il Mantì a Costantinopoli.

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Ingredienti per la pasta: ½ kg di farina di grano duro, 1 uovo, 1 cucchiaio di olio, 1 cucchiaino di aceto, 1 cucchiaino di sale ed 1 tazza di acqua tiepida.

Ingredienti per il ripieno: ½ kg di carne macinata di manzo, 1 cipolla, 1 ciuffo di prezzemolo, 80 ml di cognac, 1 cucchiaio di olio, 1 cucchiaino di sale, una presa di pepe, una di cannella ed una di chiodi di garofano in polvere.

Ingredienti per il brodo: 3 bicchieri di acqua, carne con il suo osso (che potete sostituire con due dadi di brodo di carne a cui aggiungerete 1 cucchiaio di burro), sale e pepe.

Ingredienti per la salsa: ½ Kg di yogurt stranghistò, 3 spicchi di aglio schiacciato, 1 cucchiaino di sale, 1 cucchiaio di olio, 1 cucchiaino di aceto, 1 cucchiaio di paprica dolce, 1 presa di cumino in polvere, una presa di menta essiccata.

Preparate la pasta, che poi cospargerete di farina e coprirete con uno strofinaccio umido e lascerete riposare per un’ora. Stendetela fino a quando non abbia lo spessore di mezzo centimetro, tagliatela in strisce di 10 cm di larghezza e poi ogni striscia in quadrati.
Preparate il ripieno, facendo soffriggere in una casseruola la cipolla tagliata finemente con la carne macinata ed aggiungendo il prezzemolo, il sale, il pepe, la cannella, i chiodi di garofano ed il cognac. Toglietelo da fuoco non appena avrà assorbito tutto il sugo.
Riempite i quadrati di pasta con un cucchiaio di ripieno e chiudete o come raviolo o come barchetta, unendo insieme le due estremità.
Mettete i “ravioli” in una teglia imburrata e preriscaldata. Mettete in forno caldo a 180° per trenta minuti circa. Lasciateli raffreddare. Versateci sopra il brodo bollente ed appena lo assorbono (5-10 minuti) versatevi sopra la salsa di yogurt, che avrete preparato in precedenza mescolando insieme lo yogurt con gli spicchi di aglio, il sale, l’olio, l’aceto, il cumino e la menta, e cospargeteli con la paprica dolce.

giovedì, gennaio 12, 2006

...ancora sulla melagrana

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Insalata di lattuga, olive verdi e melagrana.
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Ingredienti: 300 gr di lattuga finemente tagliata, 250 gr di olive verdi, 2 pomodori di media grandezza, 4 cipollotti, 1 aglio fresco (a piacere), ½ tazza di noci tritate, i chicchi di ½ melagrana, 4 cucchiai di Ξινό ροδιού (vedi ricetta seguente) o 5 cucchiai di limone, 1 o 2 cucchiai di olio extravergine di oliva, sale e pepe nero macinato fresco.
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Tagliate le olive a pezzetti e mescolateli con la lattuga ed i cipollotti finemente tritati. Aggiungete i pomodori che avrete pelato e tagliato a cubetti. Unite, infine, le noci, i chicchi di melagrana, sale, pepe e Ξινό ροδιού.
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Ξινό ροδιού
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Lo Ξινό ροδιού (letteralmente in greco “Aspro di melagrana”) può essere utilizzato al posto dell’aceto per condire le vostre insalate.

Ingredienti: 15 melagrane mature, 2 melagrane acerbe, 3 cucchiai di succo di limone, 1 cucchiaio di succo di arancia, 1 cucchiaino di aceto ed 1 cucchiaino di zucchero.

Raccogliete i semi ed ottenete il succo delle melegrane seguendo i consigli del post del. Versate il succo in una casseruola insieme allo zucchero, all’aceto, al succo limone e a quello di arancia. Fatelo bollire a fuoco alto finché diventa denso e di colore scuro. Lasciatelo raffreddare e travasatelo in una bottiglia di vetro. Conservate in frigorifero. Si conserva tranquillamente per un anno.

Sciroppo speziato di melagrana.

Ingredienti: 4 o 5 melagrane mature, 1 tazza di zucchero, due semi di anice stellato, 1 noce moscata, 1 pezzo di masticha, e alcune mandorle pelate per decorare.

Raccogliete i semi ed ottenete il succo delle melegrane seguendo i consigli del post del. Versate il succo in una pentola, insieme allo zucchero e alle spezie. Fate bollire a fuoco alto per 10 minuti. Lasciatelo raffreddare e colatelo per eliminare i residui delle spezie. Versatelo in una brocca ed aggiungete acqua in base alla liquidità che desiderate. Va servito freddo, decorato con le mandorle tagliate a fettine sottili.

domenica, gennaio 08, 2006

Il pudding di Noè

Oggi e nei prossimi giorni posterò altre ricette in cui la melagrana sarà l'ingrediente "protagonista", a dimostrazione del fatto che questo frutto tuttora così pieno di simbolismi e così importante nella gastronomia mediorientale sia invece a torto trascurato in quella moderna occidentale.
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Ingredienti: 250 gr di grano, 2 cucchiai di fagioli bianchi piccoli, 2 cucchiai di ceci, 2 cucchiai di uva sultanina, 1 cucchiaio di pinoli, 2 cucchiai di noci tagliate a pezzi grossi, 1 cucchiaio di mandorle pelate e tritate, 2 cucchiai di buccia d'arancia grattugiata, 1 cucchiaio di sesamo, 2 cucchiai di farina di riso, 2 albicocche secche finemente tritate, 1 tazza di chicchi di melagrana, 1 Kg di zucchero, 2 litri di acqua, 1 litro di latte.
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Mettete separatamente in tre ciotole i ceci, i fagioli ed il grano a bagno in acqua per 10 ore. Scolateli ed asciugateli con un panno di cotone. Fate bollire in pentole separate i fagioli per 30 minuti, i ceci per 25 ed il grano per almeno 45-50 minuti. Scolateli e metteteli da parte.
In una casseruola fate bollire insieme il latte, l'acqua e lo zucchero per 20 minuti, aggiungete la buccia grattugiata dell'arancia, il grano, i fagioli, i ceci e l'uvetta. Fate bollire a fuoco basso per 10-15 minuti, mescolando di continuo con un cucchiaio di legno.
In una tazza diluite la farina di riso con un po' di acqua tiepida e versatela nella casseruola, continuando a mescolare. Appena inizia ad addensarsi, versate le mandorle, le noci e le albicocche. Continuate a mescolare per altri 6-10 minuti.
Versate il dolce in delle piccole ciotole, lasciandolo raffreddare e cospargete con sesamo, con mandorle finemente tritate e con i chicchi di melagrana.

giovedì, gennaio 05, 2006

La melagrana ed il "segreto del sultano"

Il primo post di quest’anno l’ho voluto dedicare ad un frutto simbolico, affinché la prosperità che esso principalmente rappresenta ci accompagni e sia di buon augurio a tutti.
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Il melograno è un albero leggendario, sinonimo da millenni di fertilità per tutte le culture che si sono lasciate sedurre dai suoi frutti, ricchi di semi dall’accattivante colore rosso ed espressione dell’esuberanza della vita.
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Il suo frutto è stato rappresentato fin dall’antichità solo o tra le mani di divinità per le quali era sacro. Più tardi lo troviamo posto nella mano di Gesù Bambino alludendo alla nuova vita da lui donataci oppure nelle mani della Madonna (famosissima quella di Botticelli). Nell’arte copta si incontra, invece, l’albero del melograno come simbolo di resurrezione.

Le leggende, le tradizioni ed i simbolismi collegati al melograno sono tanti quanti i suoi semi!
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Simbolo universale dell’eros, della fertilità, della prosperità, della fortuna, ma anche dell’Aldilà, cantato da Omero, narrato da Salomone e da Shakespeare, fatto diventare leggenda dai romani, raffigurato in numerosi quadri, ha dato anche il suo nome ad una famosa città spagnola, Granata, dopo che nell’800 d.C. i Mauretani lo trasportarono nella penisola Iberica.

Nell’antica Grecia questa pianta era sacra ad Afrodite, a Persefone e ad Era. Secondo la leggenda fu Afrodite che impiantò per prima quest’albero a Cipro. Persefone per aver mangiato sei chicchi della melagrana dei morti, offertagli da Plutone per farle dimenticare la madre Demetra, fu condannata a passare sei mesi all'anno nell’Ade. Era, madre di tutti gli dei, considerata la protettrice del matrimonio e della fertilità era rappresentata, per tale motivo, con una melagrana nella mano destra. Ma il più antico mito della Grecia che lo riguarda è quello che lo associa ad Orione, che era la più grande e luminosa costellazione e che si diceva fosse un’enorme γίγας (figura gigantesca), figlio della terra e famosissimo per la sua bellezza. Si narra che avesse sposato Side, ma che non fosse stato fortunato nella scelta, poiché lei era così vanitosa da credere di essere più bella anche di Era, la dea per questo la punì scaraventandola nell’Ade, ove si trasformò in melograno. Durante le feste in onore della dea Demetra, le θεσμοφόρια (Thesmophoria), le ateniesi mangiavano i semi luccicanti del frutto per conquistare la fertilità e la prosperità, mentre i sacerdoti erano incoronati con rami di melograno, ma non potevano mangiarne il frutto in quanto, come simbolo di fertilità, aveva la proprietà di far scendere l’anima nella carne.

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In base ad un altro mito, per volontà delle Erinni, un melograno fiorì sulla tomba di Polinice, i cui frutti quando venivano aperti colavano sangue.
L’albero, infine, che fiorì dal sangue di Dioniso era proprio un melograno.
Il melograno era considerato sacro in molte altre civiltà. In alcuni riti funebri Egizi sembra si utilizzassero proprio i frutti ed i semi, di cui si è trovata traccia in numerose tombe, tra cui quella di Ramses IV. Anche per gli ebrei è un simbolo di fratellanza, abbondanza e prosperità: i puntali delle colonne del Tempio erano, non a caso, a forma di rimonim (melograno in ebraico).
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Anche nella lontana Cina viene consumata dai neosposi la prima notte di nozze per “benedire” il matrimonio; le spose turche la lanciano a terra, perché così avranno tanti figli quanti sono i chicchi che saranno usciti dal frutto.

La melagrana è il frutto del melograno, pianta arbustiva e spinosa delle punicacee (dal latino punicum = cartaginese, perché Plinio ritenendola erroneamente di origine africana la chiamava “melo cartaginese”), originaria delle regioni dell’Iran e del nord dell’India e da sempre ampiamente coltivata nel bacino del Mediterraneo. Il nome dell’albero e quello del frutto derivano, sempre dal latino, da malum = mela ed garantum = con grani. Il suo nome scientifico è Punica granatum e fa riferimento all’origine Medio Orientale del frutto, nonché alla presenza dei suddetti grani. In greco la melagrana è detta ρόδι (rodi), che è una parola composita che deriva da ροή e δήναμη, cioè “lo scorrere della forza dell’universo”.


Portata nel Mediterraneo dai mercanti Fenici millenni fa, viene considerata, assieme alla mela cotogna ed all’uva, uno dei più antichi frutti coltivati. Durante l’antichità veniva usato in polvere come medicinale o come tintura. I greci aromatizzavano con questa polvere i loro vini rossi, mentre i romani seccavano la sua buccia per conciare la pelle.
Nella cucina i semi erano usati crudi e cotti in moltissimi piatti, ma si utilizzava moltissimo anche il loro succo. Apicio consigliava, per la loro conservazione, di immergerle in acqua bollente per pochi secondi e di appenderle. Nella Bibbia si parla esplicitamente di “mosto di melagrana”, il che induce a credere che gli Ebrei utilizzassero il succo dei granelli facendolo fermentare. Gli Egizi consideravano la bevanda ottenuta dal succo ricavato dai frutti maturi una vera prelibatezza.
Maometto, in un verso del corano dice: “mangia melagrana in quanto purifica il corpo dalla gelosia e dall’odio”.

Delle sue proprietà terapeutiche hanno parlato Omero, Teofrasto, Dioscuro, Plinio ed Ippocrate. Quest’ultimo consigliava succo di melagrana come bevanda afrodisiaca e contro i bruciori dello stomaco. Dioscuro e Plinio, invece, consigliavano una tisana a base di buccia e radice di melagrana per eliminare i parassiti dell’intestino. Raccomandavano, inoltre, radici essiccate bollite, come tisana per patologie ginecologiche. Secondo la medicina persiana, le tisane fatte con i fiori rossi del melograno potevano curare i forti dolori dello stomaco ed il succo mescolato ad olio di oliva poteva far scomparire le macchie cutanee. Per gli Egizi il succo ottenuto dai frutti acerbi era considerato un ottimo astringente.

I suddetti miti ed esempi dimostrano che in diverse civiltà il melograno godeva di un particolare riguardo e rispetto e la medicina attuale dimostra che la sapienza degli antichi aveva delle basi veritiere. Oggi sappiamo, infatti, che la melagrana è ricca in vitamine A, C ed E, in ferro, potassio, sostanze antiossidanti e polifenoli. La concentrazione di queste sostanze benefiche è tre volte superiore a quelle del vino rosso e del The verde.

Oggi viene utilizzato in cucina sia crudo, sia come succo, sia come concentrato di sciroppo, conosciuto come granadina. I suoi chicchi sono usati nelle insalate, come decorazione, oppure per aromatizzare l’aceto bianco che può servire da condimento per insalate o per marinare la carne bianca.

Il modo più facile per aprire il frutto è quello di tagliare le due estremità e di fare un’incisione perpendicolare da un’estremità all’altra ed asportare la buccia.
Ci sono, inoltre, molti modi per raccogliere il succo. Il più semplice è quello di tagliarla a metà e di spremerla come fosse un limone, ma in questo modo i chicchi più gialli conferiranno al succo un sapore amaro, per questo consiglierei di sbucciarla nel modo suddetto, raccogliere i chicchi più rossi, metterli in una bustina e pigiarli con il palmo della mano. Una grande melagrana vi darà mezza tazza di succo.

La ricetta di oggi si chiama “Il segreto del sultano” e proviene da un libro regalatomi per Natale dalla mia carissima amica Voula, che ringrazio per il suo impegno nel procurarmi antiche e preziose ricette regionali.
Questa ricetta dimostra che la melagrana è un ingrediente prezioso, con immense possibilità per un cuoco che sa osare e che questo piatto può costituire un’introduzione spettacolare in un menù classico, oppure una proposta audace per una cena.
Il nome della ricetta è originale e di provenienza Medio Orientale e viene pubblicata per la prima volta in rete in italiano.

Il segreto del sultano (zuppa al succo di melagrana)


Ingredienti: 500 gr di carne macinata magra di agnello, 2 tazze di succo di melagrana, 1 e ½ tazza di brodo di carne, ½ cucchiaino di chiodi di garofano in polvere, ½ cucchiaino di pepe nero macinato fresco, ½ cucchiaino di curcuma, 1 cucchiaino di sale, 1 cucchiaio di foglie di menta finemente tritate, 1 tazza di prezzemolo finemente tritato, 1 cipolla media finemente tritata, 4 cucchiai di olio extravergine di oliva.
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Mescolate bene la carne macinata con il sale, il pepe, i chiodi di garofano e la curcuma e lavoratelo con le mani. Formate delle piccole e sode polpette. In un tegame riscaldate l’olio e fate soffriggere leggermente la cipolla, il prezzemolo e la menta. Aggiungete le polpette e lasciatele finché non prendano un bel colore, mescolando di tanto in tanto delicatamente. Versate il succo di melagrana ed alla fine il brodo. Coprite il tegame e lasciate bollire a fuoco basso per mezz’ora. Servite caldo.

domenica, gennaio 01, 2006

Un 2006 pieno di aromi


I nostri anni li facciamo maturare noi stessi in delle botti di rovere, li facciamo invecchiare e li godiamo sorso dopo sorso all'interno del nostro tempo...
Auguro che del nuovo anno non vi sfugga nessuno dei suoi aromi.