domenica, febbraio 25, 2007

3D sidewalk art - L'arte anamorfica di Julian Beever







Julian Beever è il più famoso e rispettato street painter, specializzato nel disegnare sui marciapiedi formidabili opere anamorfiche. Per spiegare l'arte di Beever occorre entrare nel campo dell'illusione ottica dell'anamorfosi: dal greco ana (all'indietro) e morfi (forma) che sta a indicare un disegno di un'immagine distorta che, osservata obliquamente (anamorfosi piana) o riflessa in uno specchio curvo (anamorfosi curva), può essere vista nella sua prospettiva naturale.
Il termine anamorfico viene coniato nel 1600 grazie a Guidubaldo Del Monte con il suo trattato Perspectivae Libri Sex.
L'anamorfismo è un effetto di illusione ottica per cui un'immagine viene proiettata sul piano in modo distorto, tale per cui il soggetto originale sia riconoscibile solamente guardando l'immagine da una posizione precisa. Le opere creano una discordanza fra la prospettiva dell'ambiente e quella apparente dell'opera che il cervello non riesce a conciliare.
Il procedimento della anamorfosi fu molto apprezzato nel Rinascimento, utilizzato dagli artisti per nascondere scene erotiche o irriverenti. Anche Leonardo Da Vinci sperimentò le anamorfosi; infatti, un foglio del Codice Atlantico contiene due disegni anamorfici rappresentanti la testa di un bambino e un occhio.

martedì, febbraio 20, 2007

I sette vizi capitali: Avarizia


E io, ch’avea lo cor quasi compunto,
dissi: "Maestro mio, or mi dimostra
che gente è questa, e se tutti fuor cherci
questi chercuti a la sinistra nostra".
Ed elli a me: "Tutti quanti fuor guerci
sì de la mente in la vita primaia,
che con misura nullo spendio ferci.
Assai la voce lor chiaro l’abbaia,
quando vegnono a’ due punti del cerchio
dove colpa contraria li dispaia.
Questi fuor cherci, che non han coperchio
piloso al capo, e papi e cardinali,
in cui usa avarizia il suo soperchio".
E io: "Maestro, tra questi cotali
dovre’ io ben riconoscere alcuni
che furo immondi di cotesti mali".
Ed elli a me: "Vano pensiero aduni:
la sconoscente vita che i fé sozzi,
ad ogne conoscenza or li fa bruni.
In etterno verranno a li due cozzi:
questi resurgeranno del sepulcro
col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.
(Inf., VII, 36-57)
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...è sorella della cupidigia, da cui non si separa mai... non affligge solo i ricchi, ma anche i poveri.
La bramosia che tende alla sterile accumulazione di beni (cupidigia) e la conservazione egoistica di tutto ciò ci appartiene (avarizia), sia esso materiale o spirituale, stanno sempre insieme. Avaro è quindi non solo colui che non vuol dividere le proprie ricchezze, ma anche le proprie conoscenze, la propria anima. L’avarizia è quindi contraria al precetto evangelico “Ama il prossimo tuo” e per tale ragione considerato da S. Paolo “la radice di tutti i mali”. Gregorio Magno osservò che l’avarizia, al contrario di peccati come la lussuria e la gola, che si consumano nel piacere della carne, si consuma nel piacere. Elenca, inoltre, le sette figlie che questa ha generato: la «obduratio contra misericordiam» (la durezza del cuore che impedisce di essere misericordiosi verso coloro che hanno bisogno), la «inquietudo mentis» ( l’eccessiva ansia nel ricercare le ricchezze) la «violentia» (violenza), la «fallacia» (l’inganno), il «periurium» (lo spergiuro), la «fraus» (la frode) e la «proditio» (il tradimento).
Per primo fu Plauto ad analizzare e canzonare la figura dell’avaro, che ha come unica ragione di vita, come centro di ogni pensiero il denaro, nascondendo insicurezza di sé e paura del futuro. Nel personaggio di Euclione, quindi, egli concentre grettezza, avidità, sospetto morboso nei confronti di tutti... Ad esso si ispirò Molière nel creare il personaggio di Arpagone, disposto a rinunciare a tutto pur di riappropriarsi del suo scrigno, all’amore... al mestiere di usuraio. L’avarizia è, quindi, un tarlo, una fissazione che rovina e nega la vita...
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Le scarselle dell’avaro (fagottini ripieni di cozze, provolone affumicato e olive)
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Ingredienti per la pasta: ½ Kg di farina di grano duro, 1 uova, 1 cucchiaio di olio di oliva, 1 cucchiaino di aceto, 1 cucchiaino di sale, 1 tazza di acqua tiepida.
Ingredienti: 1 Kg di cozze, 2 cipolle, 2 peperoni verdi, 2 pomodori maturi, 1 peperoncino, 2 spicchi di aglio, 200 gr di olive nere snocciolate, 4 cucchiai di olio extravergine di oliva, un po’ di rosmarino, 1 filetto d’acciuga, 60 gr di yogurt, 60 gr di provolone affumicato, 60 gr di fior di latte, 60 gr di feta, un po’ di burro, un ciuffetto di prezzemolo.
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Preparate la pasta, cospargetela di farina, copritela con uno strofinaccio umido e lasciatela riposare per un’ora. Stendetela fino a quando non abbia lo spessore di mezzo centimetro, tagliatela in strisce di 10 cm di larghezza e poi ogni striscia in quadrati.
In una pentola facciamo aprire le cozze, facendole cuocere con una spruzzatina di ouzo, uno spicchio d’aglio ed una manciata di prezzemolo tritato. Le sgusciamo.
Affettiamo sottilmente le cipolle, i pomodori e i peperoni, versiamoli in un tegame e facciamoli soffriggere con due cucchiai di olio, mezzo spicchio di aglio tritato finemente ed il peperoncino, fin quando si assorbe tutta l’acqua.
Nel mixer frulliamo le olive, mezzo spicchio di aglio, il rosmarino, l’acciuga e due cucchiai di olio, fino a farli diventare una purea, che metteremo da parte.
Nel mixer poi frulliamo lo yogurt, il provolone affumicato, la feta ed il fior di latte, fincé diventino una crema.
Riempiamo ogni quadrato di pasta con due o tre cozze (dipende dalla loro grandezza), un po’ di soffritto, un po’ di crema di formaggio ed un po’ di purea di olive. Chiudiamo unendo prima i quattro angoli e poi i lati a formare dei fagotti.Facciamo cuocere i fagottini in acqua bollente per tre-quattro minuti, li scoliamo e li saltiamo in padella con un poco di burro.

lunedì, febbraio 19, 2007

Aurora Borealis





Foto di Paul Nicklen

E' partita la missione "Themis" che studierà il fenomeno dell'aurora boreale, cioè il fenomeno ottico caratterizzato da bande luminose di colore rosso-verde-azzurro, detti archi aurorali.

martedì, febbraio 13, 2007

I sette vizi capitali: Ira


In la palude va c'ha nome Stige
questo tristo ruscel, quand' è disceso
al piè de le maligne piagge grige.
E io, che di mirare stava inteso,
vidi genti fangose in quel pantano,
ignude tutte, con sembiante offeso.
Queste si percotean non pur con mano,
ma con la testa e col petto e coi piedi,
troncandosi co' denti a brano a brano.
Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi
l'anime di color cui vinse l'ira;
e anche vo' che tu per certo credi
che sotto l'acqua è gente che sospira,
e fanno pullular quest' acqua al summo,
come l'occhio ti dice, u' che s'aggira.
Fitti nel limo dicon: "Tristi fummo
ne l'aere dolce che dal sol s'allegra,
portando dentro accidïoso fummo:
or ci attristiam ne la belletta negra".
Quest' inno si gorgoglian ne la strozza,
ché dir nol posson con parola integra».
(Inf., VII, 106-126)
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Nessuno, né Dio (nei confronti di Adamo), né Cristo (verso i mercanti del tempio), si è sottratto a questo sentimento...
L'ira è un sentimento che mette l’animo in conflitto con il mondo esterno o con se stesso, che ci fa perdere il controllo delle nostre azioni e che tira fuori da noi una componente irrazionale... per tale ragione, come ci ricorda Aristotele, non si deve confondere con l' odio, che è invece un sentimento razionale volto alla distruzione. Per Aristotele, tuttavia, "L'ira è necessaria; senza il suo apporto - senza che essa invasi l'anima e infiammi il coraggio - non è possibile affatto affrontare alcuna battaglia; ma bisogna farne uso opportuno, ponendola al nostro servizio e non viceversa... Arrabbiarsi è facile, ne sono tutti capaci, ma non è assolutamente facile, e soprattutto non è da tutti arrabbiarsi con la persona giusta, nella misura giusta, nel modo giusto, nel momento giusto e per la giusta causa" (Etica a Nicomaco). Dobbiamo quindi conoscere le nostre passioni e saperle controllare, ma non reprimerle, dobbiamo dar loro espressione... ma nella "giusta misura". Non è di questo parere, invece, Seneca, secondo cui l’ira, anche se controllata è sempre un male: “una passione sotto controllo non è altro che un male sotto controllo” (De Ira).
Io ritengo che l’ira sia un male solo se irragionevole, al pari dell’arrendevolezza e della magnanimità. L’ira “buona” è per me l’ira per zelum, di cui parla S.Tommaso, ossia quella che mossa da un profondo senso di giustizia, ci permette di sdegnarci del male commesso.
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Le lingue dell’iracondo (filetti di pagro in crosta di cocco piccante)
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Ingredienti: 800 gr di filetti di pagro, 2 peperoncini rossi sminuzzati, 4 cucchiai di salsa di soia leggera, 1 cucchiaio di coriandolo fresco tritato, il succo di 2 lime, 100 ml di nam-pla (salsa di pesce tailandese), 4 cucchiai di birra, 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva, 40 gr di farina, 65 gr di maizena, 4 cucchiai di farina di cocco, olio di semi di girasole per friggere.

Tagliate i filetti in strisce di 2-3 cm di spessore. In una ciotola mettete metà del peperoncino, la salsa di soia, il coriandolo, il succo di lime e metà della nam-pla. Versate questa salsa sui filetti e lasciateli marinare per mezz’ora in frigorifero. Miscelate nel mixer il restante peperoncino, con l’altra metà di nam-pla, la birra, l’olio, la farina e la maizena. Aggiungete tanta acqua quanto basta a formare una pastella leggera. Lasciatela riposare per 10 minuti. In una padella profonda, fate scaldare bene l’olio. Togliete i filetti dalla marinatura ed immergeteli uno per uno nella pastella, in modo che ne siano avvolti, panateli con la farina di cocco, immergeteli nell’olio bollente e friggeteli un poco per volta, per qualche minuto, finché siano dorati e croccanti.

Potete servirli con del riso jasmine cotto al vapore, condito con un po’ di salsa nam-pla e guarnito con foglie di coriandolo e fette di lime.

domenica, febbraio 11, 2007

World Press Photo Winners Gallery 2007

World Press Photo of the Year 2006
Spencer Platt, USA, Getty Images
Young Lebanese drive through devastated neighborhood of South Beirut, 15 August


Spot News: 1st prize singles
Akintunde Akinleye, Nigeria, Reuters.
Man rinses his face after gas pipeline explosion, Nigeria, 26 December


Sports Action: 1st prize singles
Max Rossi, Italy, Reuters.
World Championship Gymnastics, Denmark, 14 October

Winners Gallery 2007

giovedì, febbraio 08, 2007

I sette vizi capitali: Invidia


"Oh!", diss’io, "padre, che voci son queste?".
E com’io domandai, ecco la terza
dicendo: "Amate da cui male aveste".
E ’l buon maestro: "Questo cinghio sferza
la colpa de la invidia, e però sono
tratte d’amor le corde de la ferza.
Lo fren vuol esser del contrario suono;
credo che l’udirai, per mio avviso,
prima che giunghi al passo del perdono.
Ma ficca li occhi per l’aere ben fiso,
e vedrai gente innanzi a noi sedersi,
e ciascuno è lungo la grotta assiso".
Allora più che prima li occhi apersi;
guarda’mi innanzi, e vidi ombre con manti
al color de la pietra non diversi.
(Purg., XIII, 34-48)
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L'invidia è il desiderio smodato di possedere ciò che gli altri possiedono... è sofferenza per il bene degli altri. Invidioso è colui che “invidet” (guarda di traverso) un altro uomo, perché non riesce a sopportare che costui goda di un qualche bene che lui non possiede. E’, come la superbia, quello più insito nell’essere umano... (chi di noi non è stato almeno una volta in vita sua invidioso...) e più attuale. Ancora una volta il primo a macchiarsi di tale vizio fu Lucifero, il quale non sopportava che l’uomo godesse di una vicinanza a Dio a lui negata. Poi fu la volta di Caino che non sopportava che suo fratello Abele fosse più amato da Dio; e così via... L'invidia dunque contravviene al precetto evangelico dell'amore verso il prossimo e distrugge la fraternità che Dio ha voluto ci fosse tra gli uomini.
Esiodo, nelle “Due Contese” (Le opere e i giorni, 11-26), individua due tipi di invidia, una buona, che è posta alle radici della terra e che genera negli uomini orgoglio e competizione... ma per migliorare se stessi, che spinge il contadino ozioso ad arare bene, a seminare in maniera eccellente il proprio campo ed a costruirsi una bella casa, per raggiungere lo stesso benessere del proprio vicino... ed un’invidia cattiva, sciagurata, che fa prosperare la guerra e la lotta... “Di Contese non c'è un solo genere, ma sulla terra due ce ne sono: l'una chi la capisce la loda, ma l'altra è degna di biasimo, perché hanno un'indole diversa ed opposta: l'una infatti favorisce guerra cattiva e discordia, crudele, nessun mortale l'ama, ma costretti, per volontà degli dèi, rispettan la triste Contesa”.
Ritengo che l’invidia sia anche il più pericoloso dei peccati... di solito non resta mai senza conseguenze: non solo semina sospetto e diffidenza, ma molto spesso si trasforma in conflittualità, violenza... e morte.
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Zucca rossa d’invidia
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Ingredienti: 1 spicchio d’aglio ridotto in poltiglia, 1 cucchiaino di cumino in polvere, due peperoncini rossi sminuzzati, 1 cucchiaio di aceto di riso, 4 cucchiai di zucchero di canna, 2 cucchiai di salsa di soia, 3 cucchiai di olio extravergine di oliva, 1 cucchiaio di olio di sesamo, 1 piccola zucca gialla privata dei semi e tagliata a fette.

In una piccola casseruola fate cuocere l’aglio, il cumino, il peperoncino, l’aceto e lo zucchero. Appena iniziano a bollire, abbassate la fiamma e lasciate cuocere lentamente, fin quando diventa uno sciroppo leggero. Travasatelo in una ciotola ed aggiungete la soia, l’olio di oliva e quello di sesamo. Sbollentate per 10 minuti le fette di zucca in acqua salata, scolatele bene e mettetele a marinare nella miscela di olio e peperoncino. Di seguito, arrostitele per 10-12 minuti sul grill, fino a quando siano caramellate, avendo cura di girarle spesso. Servitele calde cospargendole con lo sciroppo di peperoncino.

domenica, febbraio 04, 2007

I sette vizi capitali: Superbia

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Ancora 7... ma questa volta per parlare di qualcosa che è parte della natura umana... i sette vizi capitali. Chi di noi può affermare con assoluta certezza di non essere stato mai sfiorato almeno una volta dal soffio di uno di essi? A dire la verità sono proprio loro a rendermi più simpatico l’uomo... sono proprio loro che rendono ogni essere umano... “umanamente imperfetto”.
Aristotele li definì "gli abiti del male". I vizi deriverebbero, cioè, dalla ripetizione di azioni che formano in chi le compie una sorta di "abito" che lo inclina in una certa direzione. Aristotele, definiva il male, come pure il bene, degli “accidenti” che appartengono alla categoria della qualità. Il male consisterebbe nel fallimento della tendenza naturale verso la causa finale che è il bene: "Ciò che ha potenza d'esser mosso o di agire in un determinato modo è buono; e ciò che ha potenza di essere mosso o di agire in un altro modo contrario al primo è cattivo". Il bene e il male divengono così atti della volontà, conducendo il problema del male nella sfera morale. In tal modo da noi dipende l’agire come pure il non agire. Poiché, infine, l'oggetto della volontà dipende sempre dal giudizio che l'intelletto dell'uomo dà all'azione stessa, può capitare che, per ignoranza, l’uomo può valutare bene ciò che è invece male. Tuttavia, per Aristotele esiste il “giusto mezzo” che ci permette di superare l'ignoranza. E’ la ragione, infatti, che permette di stabilire ciò che effettivamente è bene e ciò che è male: tutto ciò che per eccesso o per difetto va oltre è male.
Tuttavia, il sistema dei sette vizi o peccati capitali venne messo a punto da papa Gregorio Magno, che si basò sul numero 7, utilizzato dalle Sacre Scritture per indicare la perfezione dell’eternità. Il sistema da lui creato non solo legava i vizi gli uni agli altri, ma stabiliva tra loro anche una gerarchia. Gregorio vide, infatti, l’origine di tutti i vizi nella Superbia, il primo peccato di Lucifero e di Adamo, che si erano ribellati e paragonati a Dio. Da questa poi derivavano tutti gli altri: “la vanagloria genera l'invidia poiché chi aspira a un potere vano soffre se qualcun altro riesce a raggiungerlo. L'invidia genera l'ira, perché quanto più l'animo è esacerbato dal livore interiore tanto più perde la mansuetudine della tranquillità.... Dall'ira nasce la tristezza, perché la mente turbata, quanto più è squassata da moti scomposti tanto più si condanna alla confusione, e, una volta persa la dolcezza della tranquillità, si pasce esclusivamente della tristezza. Dalla tristezza si arriva all'avarizia, poiché, quando il cuore, confuso, ha perso il bene della letizia interiore, cerca all'esterno motivi di consolazione e non potendo ricorrere alla gioia interiore, desidera tanto più ardentemente possedere i beni esteriori” (Gregorio Magno, Moralia in Iob, XXXI, XLV).
Nel Medioevo il sistema di Gregorio divenne il principale schema di interrogazione del penitente. La sua fortuna finisce, però, in epoca moderna, quando la penitenza smise di essere il mezzo di pacificazione dei conflitti sociali e divenne analisi interiore delle coscienze dei singoli individui..
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SUPERBIA... l’origine di tutti i peccati
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È chi [superbo] per esser suo vicin soppresso
spera eccellenza, e sol per questo brama
ch’el sia di sua grandezza in basso messo;
è chi [invidioso] podere, grazia, onore e fama
teme di perder perch’altri sormonti,
onde s’attrista sì che ’il contrario ama;
ed è chi [iracondo] per ingiuria par ch’aonti,
sì che si fa della vendetta ghiotto,
e tal convien che il male altrui impronti.
Questo triforme amor qua giù di sotto
si piange...
(Purg. XVII, 115-125)
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Il peccato più insito nella natura umana... ogni uomo è teso all'affermazione della sua identità, al bisogno di riconoscimento da parte degli altri! Ma è anche il più contemporaneo di tutti... in quanto trova il suo luogo ideale in una società come quella attuale in cui prevale l’individualità, in cui l’orgoglio ha lascito spazio all’arroganza. L'orgoglio ci porta a difendere la nostra dignità di esseri umani, ad avere una giusta e “sana” stima di noi. Ma quando l'orgoglio travalica, si trasforma in arroganza... in superbia. C.S. Lewis giustamente a proposito a tal proposito disse: “C’è un vizio dal quale nessuno al mondo è esente; un vizio che ognuno aborrisce quando lo vede in altri, e di cui ben pochi... immaginano di essere a propria volta colpevoli... Non c’è difetto che renda un uomo più malvisto, e nessuno di cui siamo meno consapevoli in noi stessi. E più ne siamo intrisi, più lo detestiamo nel prossimo”.
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Mele della superbia
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Ingredienti: 2 mele Granny Smith, 50 gr di noci sminuzzate, 50 gr di uva passa, 50 gr di mandorle pelate e sminuzzate, 200 gr di prugne secche, 4 pizzichi di garam-masala, 1 cucchiaino di semi di senape, 20 gr di burro, 2 cucchiai di crema di latte, 1 cucchiaio di zucchero di canna.
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Bollite per 5 minuti i semi di senape in mezzo litro di acqua. Li scolate. In un pentolino fate bollire noci ed uva passa con l’acqua che basta appena a ricoprirli. Appena arrivano all’ebollizione, toglieteli dal fuoco e lasciateli gonfiare per 5 minuti e poi scolateli.
Preriscaldate il forno a 180°. Tagliate le mele in due senza sbucciarle e privatele della parte centrale. Ponete le mele, con la parte incavata rivolta verso l’alto, in un teglia. Cospargetene ognuna con un cucchiaino di burro, lo zucchero di canna, le mandorle ed il garam-masala. Mettete in forno per 20 minuti. Preparate una crema battendo nel mixer le prugne e la crema di latte, fino ad ottenere un composto omogeneo. Versatelo in una ciotola ed aggiungete le noci, l’uva passa e la senape bollita, amalgamando il tutto. Togliete le mele dal forno, lasciatele freddare. Formate delle piccole chenelle e riempite con ognuna di esse le metà mele.